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Complicanze nel diabete

  1. Introduzione
  2. Cambio di paradigma nella cura del diabete e delle complicanze
  3. Le complicanze d'organo nel diabete
  4. La centralità del paziente diabetico

Introduzione

E’ un argomento estremamente ampio. Il diabete, dal punto di vista epidemiologico, è una patologia in continua crescita come numeri. Ad oggi (stime 2021) interessa più di 500 milioni di persone nel mondo, con un trend in crescita fino ad arrivare ad una stima di quasi 800 milioni nel 2045 (dati: International Diabetes Foundation). Ritornando alla dimensione nazionale, l’osservatorio ARNO mette in luce inoltre un legame tra l’invecchiamento della popolazione e "l’epidemia" di diabete: vi è e vi sarà un incremento del numero delle persone anziane con diabete.

Le complicanze, nello specifico, vengono distinte in complicanze macrovascolari (cervello, cuore, estremità vascolari) e microvascolari (occhio, rene e neuropatia). Oltre all’iperglicemia, anche le ipoglicemie sono in grado di determinare delle complicanze, come un aumento del rischio di eventi avversi cardiovascolari e di mortalità. Il diabete quindi, nel contesto dell’iperglicemia e/o dell’ipoglicemia, ha una relazione con complicanze cardiovascolari, cerebrovascolari, muscoloscheletriche ed eventi determinati proprio dall’emergenza metabolica (coma chetoacidosico, stato iperglicemico iperosmolare, coma ipoglicemico).

Il massimo della complessità della cura si manifesta man mano che ci si addentra all’interno delle complicanze. Gli interventi all’interno di una popolazione presumibilmente sana e dove il compito è prevenire l’insorgenza del diabete sono relativamente meno complessi come impegno assistenziale e questo impegno invece cresce, insieme alla complessità di ordine organizzativo, progressivamente man mano che crescono le complicanze e si identifica la fragilità. Non c’è quindi migliore prevenzione delle complicanze se non prevenire il diabete stesso, focalizzandosi sulle persone a rischio di sviluppare la patologia e di sviluppare complicanze soprattutto cardiovascolari (ad es. persone con sindrome metabolica).

A tal proposito, uno studio randomizzato (confrontate due popolazioni identiche) evidenzia come l’intervento sullo stile di vita permetta, a 7 anni di distanza dall’inizio dell’intervento stesso, di dimezzare il numero di persone che sarebbero divenute diabetiche (rispetto alla popolazione di controllo senza intervento). Lo stesso studio mette in luce anche come la mortalità sia più che dimezzata. Gli interventi sullo stile di vita, non farmacologici, permettono quindi di ottenere risultati importanti, tuttavia il vantaggio metabolico viene perso tanto più quanto diviene maggiore la distanza temporale dalla fine dell’intervento: l’educazione terapeutica deve quindi essere strutturata. Un intervento strutturato di ordine educativo (studio randomizzato con due popolazioni paragonabili come caratteristiche e terapia) riesce a modificare tutti quei fattori di rischio (HbA1c, colesterolo, press. arteriosa, BMI) che sono correlati all’evoluzione del diabete e allo sviluppo delle complicanze.

Se invece che sulla prevenzione ci si concentra sui casi più complessi di maggiore fragilità dove concorrono più complicanze, gli annali AMD (dati su un campione di dimensione nazionale) mostrano come più del 50% delle persone affette da diabete si ritrovino in questa categoria (2 o più complicanze 50-60%; una sola complicanza 30%, nessuna complicanza 15%). Il punto critico del diabete, e anche della programmazione sanitaria, non solo nel presente ma anche nel futuro, è proprio rappresentato dalla comorbità e dalla complicanze, che hanno un impatto rilevante sia in termini di qualità della vita delle persone sia in termini di prospettiva farmacologica. Interventi capaci di prevenire o ritardare la comparsa delle comorbità rappresentano uno strumento efficace per governare la malattia in maniera ottimale, migliorare la qualità di vita dei pazienti, ridurre la spesa sanitaria e garantire la sostenibilità del sistema.

Il diabete deve essere prevenuto, diagnosticato all’esordio, soggetto a modificazioni dello stile di vita, trattato secondo criteri di efficacia, sicurezza, appropriatezza, equità e sostenibilità per ottenere il miglior controllo possibile a livello glicemico, pressorio, lipidico tanto con misure non farmacologiche che non farmacologiche, e soprattutto per prevenire e trattare le complicanze d’organo che lo rendono tutt’ora una patologia potenzialmente invalidante e che incidono gravemente sulla qualità della vita delle persone con diabete, dei loro familiari e della popolazione in generale.

Nei caposaldi della riduzione delle complicanze del diabete, illustrati negli Standard di Cura americani (Diabetes Care ADA, 2022), alla base ci sono gli interventi sullo stile di vita e l’educazione terapeutica, e nel contempo la gestione del controllo glicemico, del controllo pressorio, del controllo lipidico, ma si aggiunge anche un nuovo elemento: la valorizzazione di agenti farmacologici in grado di migliore gli esiti cardiovascolari e renali.

Cambio di paradigma nella cura del diabete e delle complicanze

Questo rappresenta il vero e proprio cambio di paradigma nella cura del diabete mellito tipo 2: nel 2008 furono emanate indicazioni vincolanti da parte dell’FDA nei confronti dell’industria farmaceutica chiedendo loro che nessun nuovo farmaco fosse messo in commercio prima di aver documentato che non avesse effetti sfavorevoli dal punto di vista cardiovascolare. Diversi studi avevano infatti evidenziato come cercare di ottenere il miglior controllo metabolico possibile riducendo il più possibile l’emoglobina glicata non determinasse dei vantaggi significativi, ma anzi aumentasse la mortalità, poiché determinava con le terapia dell’epoca non infrequenti eventi ipoglicemici.

Pertanto gli algoritmi terapeutici oggi definiscono come priorità l’utilizzo di farmaci che permettono un miglioramento del controllo glicometabolico ma senza determinare ipoglicemia. Nel contempo valorizzano l’importanza di scegliere degli strumenti terapeutici che, indipendentemente dal miglioramento che determinano in termini di riduzione di HbA1c, sono in grado di per sé di migliorare gli esiti cardiovascolari e renali. Tutto ciò significa che sì è importante perseguire valori bassi ed adeguati di emoglobina glicata ed ottenere il miglior controllo glicometabolico possibile, ma che ottenerlo con farmaci che non determinano ipoglicemia rappresenta un vantaggio.

Gli Standard di Cura (ADA, 2022) suggeriscono come sia utile perseguire un valore di emoglobina glicata inferiore al 7% (53 mmol/mol), ma senza determinare ipoglicemia. Nel contempo evidenziano come si possa e si debba cercare di raggiungere degli obiettivi di HbA1c ancora più sfidanti e bassi rispetto al valore target del 7% ma sempre valutando il rapporto rischio / beneficio tra questi obiettivi e ottenendolo senza determinare un’ipoglicemia o altri avversi. Obiettivi meno stringenti, come un’ HbA1c inferiore all’ 8%, sono appropriati per persone con aspettativa di vita limitata o in cui gli effetti collaterali e rischi del trattamento siano maggiori dei benefici.

Standard di Cura (ADA, 2022):



Le complicanze d'organo nel diabete

Alcune complicanze sono direttamente collegate al diabete, ovvero il meccanismo fisiopatologico che le determina è strettamente legato al compenso glicometabolico. In parole semplici, è necessaria l’iperglicemia. Queste sono: retinopatia, nefropatia, neuropatia, piede diabetico.

Nella macroangiopatia diabetica, ovviamente il controllo glicometabolico è molto importante, ma non è un fattore esclusivo e specifico. Sono coinvolti anche il controllo dell’assetto lipidico e pressorio. La macroangiopatia diabetica e le manifestazioni di rischio cardiovascolare compaiono già anche in una fase "prediabetica", quindi già anche nella fase della sindrome metabolica.


La centralità del paziente diabetico

Negli Stardard di Cura americani (ADA, 2022) vi è un intero capitolo dove si evidenza l’importanza della centralità della persona con diabete.

Si evidenzia l’importanza del fatto che la persona con diabete si trovi all’interno di un team multidisciplinare coordinato (patient-centered collaborative care), di una integrazione ospedale – territorio e di come questa organizzazione sia fondamentale. Tutto rimanda sempre al documento di consensus internazionale dove gli obiettivi di cura (goals of care) sono quelli di prevenire le complicanze ed ottimizzare la qualità di vita. Questi risultati possono essere perseguiti utilizzando un una educazione ed un linguaggio "potenzianti" (enpowering language), valorizzando cioè il ruolo attivo della persona con diabete e dei suoi familiari.

Bisogna sempre fare riferimento a quel governo clinico, quel modello di cronicità che è tanto caro alla diabetologia italiana e che è stato un punto di eccellenza da sempre, che si basa proprio sulla valorizzazione del modello di chronic care model, richiamato, non a caso, anche dalla precedentemente citata letteratura statunitense.

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